Americano, troppo americano, come solo chi è nato fuori dagli Stati Uniti può essere. Originario della Baviera, Heinz Kissinger fugge ancora giovane dalle persecuzioni naziste. A New York trova un'altra vita e un altro nome, si chiamerà Henry. L'ordalia della guerra in Europa lo rende americano a tutti gli effetti. Fa l'operaio ma mentre le braccia faticano il cervello produce, si laurea con lode ad Harvard e presto inaugura una fortunata carriera di saggista. La politica lo coopta in fretta, da giovane non è immune al fascino dell'idealismo presto lo rinnega coltivando l'immagine di campione del realismo politico. Per il presidente Nixon è qualcosa in più di un consigliere per la sicurezza nazionale prima e di un segretario di Stato poi, è qualcuno, come è stato notato, capace di farlo sentire un gigante sul palco della storia. Il Watergate lo sfiora senza travolgerlo tanto che resta al suo posto anche con Ford. Il realismo kissingeriano è diverso dal realismo tout court, significa perseguire l'obiettivo della supremazia globale senza infingimenti, è un fatto di reputazione e di credibilità. Diplomazia sì ma anche guerra, controllo degli armamenti sì ma anche investimenti bellici, i conflitti locali sono l'inevitabile prezzo da pagare per scongiurare l'olocausto nucleare, nella diplomazia del linkage tutto è collegato, la guerra è limitata e il negoziato è permanente. Chi difende Kissinger ricorda i suoi successi diplomatici, la distensione con l'Unione Sovietica, la riapertura delle relazioni con la Cina, la “shuttle diplomacy” in Medio Oriente, la gestione delle trattative in Vietnam che, seppure spregiudicata nei tempi, gli varrà il Nobel. I critici contano i morti sulla sua coscienza, le vittime dei bombardamenti in Cambogia a quelle delle operazioni in Sudamerica, i morti durante il golpe di Pinochet in Cile. Per il Metternich statunitense l'agire umano è un luogo di inevitabile opacità morale. Talentuoso e tagliente, cinico e avido di potere, lucido e pragmatico, Kissinger è diverso dagli isolazionisti paleoconservatori alla Pat Buchanan, ma anche dagli idealisti neoconservatori convinti di poter esportare la democrazia. La sua idea di fondo non è mai cambiata, ha appoggiato l'allargamento della Nato così come la guerra in Iraq, convinto che per meritare il potere bisogna esercitarlo. Un'idea a ben guardare duratura. Si nasconde dietro le bombe di Obama nello Yemen, per esempio, ma anche dietro l'omicidio del generale Soleimani voluto da Trump in Iran. Guardi l'America e in trasparenza ti capita spesso di vedere Kissinger. Lui sì, nel bene e nel male, gigante sul palco della storia.