C'era da aspettarselo, al centro della bufera per l'avvelenamento di Aleksej Navalny, Mosca ha fatto scattare la sua controffensiva nei confronti dell'oppositore di Putin e della Germania, con un'azione a tenaglia. Prime a muoversi, le autorità giudiziarie che hanno disposto il sequestro della casa e dei beni del blogger, il motivo è la causa intentata da Yevgeny Prigozhin, personaggio talmente legato al regime da essere soprannominato lo chef di Putin. Ritenuto il responsabile della cosiddetta “fabbrica di troll”, cioè di quella catena di siti specializzati nella diffusione di fake news, ma anche legato alla Wagner l'agenzia di contractors russi che operano sui teatri di guerra più controversi, dal Donbass, alla Siria, alla Libia. Secondo Prigozhin, Navalny, il fondo anticorruzione FBK e Lyubov Sobol, altra leader dell'opposizione anti Putin, avrebbero diffuso notizie false nella loro inchiesta sulle forniture di cibo alle scuole pubbliche. Ma anche la Germania, che ha accolto, medicato e ora ospita il blogger russo, è finita nel mirino e la rappresentanza permanente presso l'organizzazione per il controllo delle armi chimiche, che ha sede all'Aia ha chiesto a Berlino di produrre, entro 10 giorni, i referti clinici riguardanti l'avvelenamento Navalny. Un atto lecito, ma anche duro da un punto di vista diplomatico, che punta a smontare l'equazione fin qui fatto dall'opinione pubblica: avvelenamento con un agente nel vino, uguale mossa del regime contro il suo più quotato oppositore. Intanto, migliorano significativamente le condizioni di salute di Navalny. I medici che lo hanno in cura si sono detti fiduciosi in una completa guarigione, anche se hanno chiarito di non sapere quali potranno essere le conseguenze sul lungo termine. E il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha dichiarato che il blogger può tornare in patria quando vuole, anche se più che un invito suona come una minaccia.