La nuova fiammata di tensione tra Serbia e Kosovo stavolta ha degli elementi di novità rispetto a quelle, cicliche, del passato. A partire dalla causa scatenante: la protesta contro l'insediamento dei sindaci kosovari nelle quattro città a schiacciante maggioranza serba in cui si era votato poco più di un mese fa con il boicottaggio degli stessi serbi, e infatti l'affluenza era stata del 3,4 %. La protesta è montata nella città di Zvecan, dove è letteralmente esplosa la rabbia della popolazione serba che si è scontrata con la polizia kosovara. Belgrado ha accusato il Governo di Pristina di voler occupare il Nord del Kosovo e ha mobilitato le sue forze speciali al confine con quella che considera da sempre una sua provincia, senza concedere l'indipendenza che invece è stata riconosciuta da molti Paesi, a partire dagli Stati Uniti. E la grossa novità di questo nuovo scontro arriva proprio da Washington, che è tradizionalmente filo kosovara e invece stavolta ha criticato duramente e pubblicamente il Governo di Pristina. In un Tweet il Segretario di Stato Blinken ha chiesto al Premier kosovaro Kurti di fermare le azioni che hanno portato alle proteste per rifocalizzarsi sul dialogo mediato dall'Unione Europea. Perché questa nuova tensione, infatti, arriva nel pieno di un tentativo negoziale guidato da Bruxelles, che però finora ha prodotto più aspettative che risultati concreti. Il punto più alto è stato vedere, lo scorso marzo in Macedonia, i leader di Serbia e Kosovo, Vucic e Kurti, seduti, di fronte, allo stesso tavolo, senza una stretta di mano che resta più che mai un miraggio.