Sarà ballottaggio tra Bolsonaro e Lula il 30 ottobre prossimo. Le urne nel big election day in Brasile, dove 156 milioni di elettori hanno scelto anche parlamentari e governatori, restituiscono il volto polarizzato di una delle più grandi democrazie del mondo, due visioni diametralmente opposte che in campagna elettorale si sono sfidate con estrema violenza, senza disordini invece di rilievo il voto, dopo lo spoglio delle schede svolto sotto la supervisione di osservatori internazionali, per paure di brogli soprattutto sul voto elettronico e all'estero resta un volto spaccato ma piuttosto in equilibrio di forze. Bolsonaro, dato alla vigilia parecchio indietro nei sondaggi di voto, ha gonfiato le vele con il voto degli evangelici, dei conservatori, dei liberali e dei grandi proprietari terrieri, per qualche ora durante lo spoglio è anche passato in vantaggio, ma a primeggiare seppur di pochi punti percentuali è Ignazio Lula Da Silva, con la sua rimonta personale e politica dopo la scarcerazione per corruzione poi annullata e prescritta, ha rilanciato il sogno sbiadito del Partito dei Lavoratori, che nella lotta alla povertà e nella difesa dell'ambiente e degli indios, ha fatto storia nei primi anni duemila. Lula si è rivolto alle donne, ai giovani e agli indios e ai lavoratori ma soprattutto agli ambientalisti che lottano per la difesa dell'Amazzonia, ridotta di un territorio pari del Portogallo, dalla deforestazione selvaggia dell'era Bolsonaro ma Lula non è riuscito nell'impresa di battere il presidente uscente al primo turno, un sogno accarezzato sui pronostici. Vittorioso e con un seggio sicuro in Senato è invece Sergio Moro, il suo più grande accusatore, l'ex magistrato del Pool Mani Pulite brasiliana poi Ministro della Giustizia di Bolsonaro, che lo ha accusato di corruzione e che ha ribadito appena uscito dalle urne. Non sceglierei mai Lula come presidente.























