È accaduto davanti al Parlamento, in pieno centro a Beirut. I manifestanti non erano molti, ma erano arrabbiati con il Governo, contro le élite politiche che definiscono corrotte e ritengono responsabili dell'esplosione che martedì ha devastato vaste aree della capitale libanese. Ci sono stati scontri con le forze dell'ordine, che hanno utilizzato i lacrimogeni per disperdere il gruppo. Anche sui social network e sui giornali cresce la rabbia, la popolazione vuole sapere perché 2 mila 750 tonnellate di nitrato di ammonio fossero immagazzinate in un porto civile, nel cuore di una città, a pochi metri dai quartieri residenziali. Il Presidente Michel Aoun, ieri, non soltanto ha negato la possibilità di un'inchiesta internazionale sui fatti, ma ha sollevato, accanto all'ipotesi dell'incidente, quella di un attacco straniero, di un missile o di una bomba. Il suo alleato politico, Hassan Nasrallah, leader del movimento sciita Hezbollah, ha parlato poche ore dopo, nel porto di Beirut il suo gruppo non avrebbe nulla, né armi, né nitrato di ammonio, ha spiegato, cercando di bloccare le accuse che da giorni colpiscono il suo partito e le sue milizie. Le autorità hanno intanto fermato 16 persone e imposto lo stato di emergenza su Beirut per due settimane, ma in queste ore, ad agire nei quartieri più colpiti – scrive la stampa locale – non è lo Stato, ma sono volontari in arrivo da tutto il Paese, Organizzazioni internazionali come la Croce Rossa, l'Esercito nazionale si è finora visto poco. La visita sui luoghi dell'esplosione, giovedì, del Presidente francese Emmanuel Macron, la sua presenza in una Beirut ferita ha sottolineato ancora di più l'assistenza, agli occhi dei libanesi, dei politici locali. Contro di loro e contro l'incapacità del Governo di amministrare la piccola nazione e gestire una crisi economica e finanziaria profonda, esacerbata dalla pandemia, milioni di persone erano già scese in strada a ottobre e nuove manifestazioni sono previste per le prossime ore in città.