"Voglio rimanere nel mio paese e cantare". Con queste parole il musicista iraniano Shervin Hajipour, che era stato arrestato e poi rilasciato dopo aver scritto una canzone diventata il simbolo delle proteste, è tornato a far sentire la propria voce in un video sui social. "Se voglio dire qualcosa voglio farlo qui, nel mio paese", ha detto cinque giorni dopo il suo rilascio. Un messaggio di resilienza che arriva lo stesso giorno in cui decine di studenti nel Kurdistan sono stati arrestati e portati via su furgoni e bus senza targhe, mentre tutte le scuole della regione sono state chiuse. Una retata che arriva probabilmente in risposta a poche ore dall'attacco informatico di un gruppo che è riuscito a interrompere, per pochi secondi, la diretta sulla televisione di stato. Il gruppo hacker ha trasmesso infatti l'immagine della guida suprema dell'Iran, Ali Khamenei, in fiamme e con un mirino impresso sul volto, con a fianco le fotografie delle donne uccise e un messaggio che invita a unirsi alla rivolta. Arresti, repressioni e uccisioni che continuano con l'inizio della quarta settimana di proteste, dopo la morte di Masha Amini, la 22enne fermata dalla polizia morale per non avere indossato il velo nel modo corretto. Anche se lo stato nega e rinega, così come le autorità che smentiscono le notizie di spari sui manifestanti o come la stessa presidenza che in una nota ha invitato la società iraniana all'unità parlando di cospirazioni ostili. Secondo il presidente Raisi infatti sono i nemici dell'Iran a voler distruggere la repubblica islamica, potente e unità, mentre nelle strade gli uomini e le donne, con e senza velo, continuano a chiedere più diritti e libertà. Per l'ennesima volta, dopo anni di proteste e poi silenzi, questa volta e nonostante i 185 morti, i cittadini non si lasciano intimidire.























