> Proiettili di gomma e gas lacrimogeni. Così le forze dell'ordine sudanesi hanno tentato di disperdere i manifestanti radunatisi in diverse città del Paese per protestare contro il Presidente Omar al-Bashir. Le mobilitazioni particolarmente cospicue nella Capitale Khartum e Omdurman, città gemella sull'altra sponda del Nilo, proseguono da 3 mesi, da quando cioè il Governo ha triplicato il prezzo del pane. La rabbia popolare, tuttavia, è alimentata dalla crisi economica che stritola il Paese, dalla corruzione dilagante e dalla brutalità delle forze di Polizia che hanno poteri sempre più estesi. Nelle ultime settimane il Presidente ha destituito il Governo centrale e quelli dei 18 Stati che compongono il Sudan, i cui governatori sono stati sostituiti con alti ufficiali militari. La piazza, che sfida lo stato d'emergenza proclamato alla fine di febbraio, chiede ormai a gran voce la rimozione del Presidente in carica dal 1989. Su di lui pende un mandato di cattura internazionale per genocidio e crimini di guerra. Dall inizio delle proteste oltre 1000 persone sarebbero state arrestate e secondo Human Rights Watch i morti sarebbero ben oltre le 31 vittime dichiarate dal Governo. Le notizie che filtrano dal Paese sono pochissime. Nonostante i tentativi di oscurare la rete le denunce della società civile sono ormai circostanziate. Numerose le riprese fatte con gli smartphone da attivisti che sono riusciti a passare inosservati e a farli circolare su Internet e sui social network. Secondo diversi osservatori le proteste, guidate da diverse sigle di gruppi sindacali indipendenti, costituiscono la sfida più avanzata all'establishment sudanese degli ultimi trent'anni.