"Con l’hijab o senza, avanti con la rivoluzione”: lo gridano queste donne. Siamo a Zahedan, nel Sud-Est dell'Iran, non lontano dal confine con l'Afghanistan. Vanno avanti le proteste in tutto il Paese, a quasi 3 mesi da quando sono scoppiate per la morte della giovane Mahasa Amini, uccisa dalle percosse, dopo l'arresto da parte della Polizia Morale, perché indossava il velo non correttamente. Il Procuratore Generale adesso dice che quella Polizia non è operativa: questa formula, fanno notare media e osservatori iraniani, vuol dire che un'abolizione formale non c'è, ma d'altra parte è chiaro il senso: gli obblighi religiosi, abbigliamento compreso, restano. Le proteste, si diceva, vanno avanti, hanno già superato le aspettative di molti dentro e fuori il Paese, costringendo il regime ad ammettere che ci sono stati, finora, oltre 200 morti. Ma i pasdaran, quelli che davvero comandano insieme al regime, restano dove sono. Così come l'intelligence interna, mentre le carceri sono piene di fermati durante le manifestazioni, e le accuse di tortura si moltiplicano, lasciando aperti gli interrogativi: quanto può durare ancora la protesta? E quanto potrà, realmente, scalfire il potere?.























