"Io nutro una particolare diffidenza per l'uomo russo al potere: egli diventa un despota sfrenato appena gli si offre la possibilità di essere padrone del suo vicino". Maksim Gor'kij, per evidenti motivi anagrafici, non conosceva Vladimir Putin ma le sue parole sono il vestito perfetto per lo Zar della Russia, l'uomo che dopo l'invasione dell'Ucraina sta facendo tremare il mondo, agitando lo spettro di una terza guerra mondiale e minacciando l'uso dell'arma atomica. Uno chef della paura e del terrore. D'altronde aveva dimestichezza in cucina essendo nipote del cuoco personale di Lenin e Stalin. Preferisce presto i palazzi del KGB alle cucine. Si distingue. Scala le gerarchie. Nel 1975 diventa alto funzionario del controspionaggio. Anni di lavoro e rapporti. Gli serviranno in seguito. Il KGB viene sciolto nel 1991 e lui vive la cosa come un lutto ma lo elabora rapidamente. Nessun rimpianto, sembra voler dire. Un giro di khorovod ed ecco l'ingresso in politica. Punta a tutto su Boris Eltsin e vince. Il Presidente gli rifila gli incarichi delicati, un eufemismo, ovviamente. Quello decisivo è nel 1999. Mosca e Volgodonsk sono sconvolte da una serie di attentati. Putin accusa i separatisti ceceni e ordina il bombardamento di Grozny. L'auspicio di Putin lo spiega lui stesso: "Accoppare i terroristi nel cesso". Grazie al pugno di ferro dimostrato nell'occasione diventa l'indiscusso delfino di Eltsin. Questioni di mesi ed eccolo al Cremlino al posto del dimissionario Boris. La Russia è sua. Nessuno ci avrebbe scommesso un rublo, neanche fradicio di vodka. L'oligarca Sergej Pugachev racconterà più tardi che la scelta per la successione di Eltsin era caduta sull'anonimo Putin "proprio perché considerato privo di capacità e ambizioni tali da renderlo autonomo". Eltsin si è dimesso, Vladimir non ci pensa neppure. Dopo i primi due mandati non può ricandidarsi quindi sostiene il suo tuttofare Medvedev che poi lo nomina Primo Ministro. Nel 2012 conquista il terzo mandato e la sua popolarità non cala nemmeno dopo la prima guerra del Donbass e la crisi della Crimea, nel 2014. Nel 2018 agguanta il quarto mandato. Ma non basta, serve un numero dei suoi. Così due anni dopo riesce nell'impresa di farsi approvare una riforma della Costituzione che gli permetterà di candidarsi per altri due mandati alla presidenza ovvero fino al 2036, quando avrà 84 anni. Intanto, in mezzo, l'invasione dell'Ucraina, i morti, i saccheggi, le sanzioni, le minacce, l'arma del gas. Non sarà un gran compleanno per Zar Putin. Un uomo solo, nonostante una moglie, una compagna e quattro figlie. Inzuppato di sospetto e rancore, forse malato. Di certo alle corde. Quindi capace di tutto. Scrive e ricorda Anna Zafesova, con parole che sono brivido puro, che il giovane Putin "teorizzava con i colleghi attoniti che l'URSS faceva al mondo più paura degli Stati Uniti perché non possedeva una procedura democratica: per lanciare una guerra atomica il Presidente americano avrebbe dovuto rendere conto al Congresso e anche all'opinione pubblica mentre un leader del Partito Comunista in preda all'Alzheimer poteva schiacciare il bottone rosso senza che nessuno osasse contraddirlo".























