Il cielo sopra Mosca è coperto, va in scena la parata in Piazza Rossa per la Giornata della Vittoria, 11.000 militari schierati, sfilano carri armati e i missili con testate nucleari Satan. Vladimir Putin prende la parola, evoca l'eroismo sovietico della Seconda Guerra Mondiale, si rivolge ai soldati arrivati direttamente dai campi di battaglia in Donbass. "Voi state lottando per la patria, per il suo futuro." Ricorda con dolore i militari morti in questi due mesi, ribalta la realtà e parla di una guerra nata non per aggredire un paese vicino ma per difendere il proprio territorio, addossa all'Occidente la responsabilità del conflitto, accusa la Nato di aver minacciato i confini russi. "Giorno dopo giorno la situazione peggiorava, la Russia si trovava potenzialmente sotto un'aggressione, era necessario prendere una decisione unica e assolutamente inevitabile, quella di difendere il nostro paese. Senza mai nominare l'Ucraina, Putin giustifica l'intervento militare, come preventivo, necessario e giusto perché l'Occidente stava preparando un attacco. "E' iniziata un'operazione punitiva nel Donbass e un tentativo di distruggere le nostre terre, inclusa la Crimea." Parla 11 minuti appena, niente trionfalismi, nessun riferimento a un'escalation del conflitto ma la tipica retorica. Noi non tradiamo l'amore per la patria, la forza della Russia e il suo essere multietnica. Negli stessi minuti a Varsavia un gruppo di ucraini getta della vernice rosso sangue addosso all'Ambasciatore russo in Polonia mentre era in visita al cimitero sovietico della città. Nel giorno della vittoria il grande assente è proprio ogni riferimento ad essa, la vittoria se non alla fine dell'intervento di Putin. "Per la Russia per la vittoria urrà.".