Mentre continua la totale assenza di collaborazione delle autorità del Cairo sul caso Regeni, arriva la notizia che uno dei quattro 007 egiziani imputati a Roma nel procedimento per il sequestro e l'omicidio del ricercatore friulano sarebbe stato promosso al grado di Generale di Brigata. È quanto emerge dalle 88 pagine di informativa dei Carabinieri del Ros acquisita agli atti nel corso dell'udienza preliminare conclusasi con la sospensione del procedimento e rinvio a ottobre. Il Colonnello Usham Helmi, stando a quanto ricostruito dagli investigatori anche attraverso alcuni account social riconducibili al militare, attualmente lavorerebbe presso l'ufficio passaporti e immigrazione. L'elemento che fa pensare a una promozione sarebbe proprio in una foto presente sui social in cui Helmi indossa una giubba bianca di una uniforme militare alla quale sono apposti i gradi di Generale di Brigata. Nell'informativa si afferma inoltre che il Generale Tariq Sabir, l'imputato più alto in grado all'epoca dei fatti, sarebbe in servizio presso il dipartimento degli affari civili del Ministero dell'Interno con l'incarico di supervisionare un progetto relativo alle carte d'identità dei cittadini egiziani. Il Maggiore Sharif invece potrebbe essere ancora in servizio presso la Direzione della Sicurezza Nazionale, mentre solo uno dei quattro sarebbe in pensione. A sei anni di distanza dal rapimento e dalle torture che hanno portato alla morte in Egitto di Giulio Regeni nel 2016, il processo ai torturatori del giovane di fatto è ancora fermo a causa dell'ostruzionismo dell'Egitto, con la procura egiziana che ha firmato un documento di archiviazione e il Governo di Al-Sisi che non ha mai voluto comunicare l'indirizzo degli indagati all'Italia, passaggio necessario per poter procedere alle notifiche nei loro confronti, previste dal nostro ordinamento e nel loro stesso interesse e del corretto corso del processo penale. I social però anche in questo caso potrebbero rivelarsi utili soprattutto se, come possibile accada, gli investigatori chiederanno una collaborazione con i provider statunitensi, Facebook e Google in primis.