Per quanti sperano nell’impeachment del Presidente americano, è meglio mettere subito in chiaro che in passato questa procedura è stata avviata solo tre volte e che non è mai giunta alla deposizione del commander-in-chief. Neanche, per essere precisi, perché quando Nixon venne travolto dal Watergate si dimise spontaneamente prima che la valanga travolgesse tutta la sua amministrazione. E quanto a Clinton e a Johnson, gli altri due precedenti, si conclusero in un nulla di fatto. Si dirà che un conto è una liaison con una stagista o un caso remoto che affonda le radici nel 1868, un altro l’accusa di aver ostacolato la giustizia, come per Trump. Ma in realtà per la procedura nulla cambia. Il Presidente deve compiere un grave crimine e per l’opinione pubblica statunitense, magari ipocritamente, il Presidente non può e non deve mentire in nessun ambito, neanche in quello privato, perché così ostacola la giustizia. In concreto, le possibilità che Trump sia cacciato con disonore, perché questo è l’impeachment, sono remote. Prima di tutto perché per procedere alla condanna, la destituzione, è necessario il voto di almeno 435 deputati, due terzi delle Camere. E se è vero che Trump non è amato neanche dal suo partito, i democratici non sono così sicuri di voler vedere il suo vice, l’oscuro e ancor più reazionario Mike Pence, al suo posto. Ma al di là della valutazione politica, si può dimostrare legalmente che Trump abbia mentito? È controverso. Secondo alcuni sì, perché avrebbe scoraggiato esplicitamente il direttore dell’Fbi ad indagare ulteriormente sul cosiddetto Russiagate. Secondo altri, la maggioranza, per quanto l’attuale Presidente a volte abbia atteggiamenti un po’ naïf, non è uno sprovveduto e semmai può essersi limitato a fare ragionamenti ad alta voce. Del resto, se Clinton è riuscito a scampare nonostante l’evidenza perché la relazione con la stagista era reale e lui aveva mentito pubblicamente, è difficile pensare che Trump non riesca a cavarsela. A che prezzo, però, è tutto da vedere.