“Penso che le fughe di notizie di Comey saranno molto più diffuse di quanto si ritenga possibile: totalmente illegale? Molto da codardi”. Con l’ennesimo tweet, il Presidente Donald Trump è tornato all’attacco sul Russia Gate. Obiettivo della sua ira ancora l’ex direttore dell’Fbi, da lui stesso licenziato poche settimane dopo la sua elezione per motivi non del tutto chiari. L’accusa di codardia è giustificata, almeno dal numero 1 americano, dalle rivelazioni, i leak, che l’ex direttore dell’intelligence americana avrebbe fatto ai principali media statunitensi. Ma l’intricata vicenda delle presunte relazioni pericolose tra uomini chiave della Casa Bianca e il Cremlino, nella persona dell’ambasciatore russo Sergey Kislyak, nonostante l’ira funesta e le continue smentite di Trump si sta trasformando in una sorta di via crucis per The Donald e il suo staff. Cresce infatti l’attesa per la deposizione del ministro della Giustizia, Jeff Sessions, che domani deporrà di fronte alla Commissione per l’intelligence del Senato. Secondo quanto riferito da Comey alla commissione d’inchiesta, infatti, Sessions sarebbe stato uno dei membri dello staff trumpiano ad avere maggiori contatti con l’ambasciatore russo, almeno tre volte. In buona sostanza, al di là dei dettagli piuttosto contorti, tutta la vicenda si può riassumere in uno scontro frontale fra Trump e Comey. Quest’ultimo sostiene di essere stato licenziato proprio perché stava indagando sulle relazioni fra Trump e la Russia e non avrebbe ceduto alle minacce esplicite dell’inquilino della Casa Bianca affinché abbandonasse l’indagine. Il Presidente replica che è tutto falso. Il punto però è che alle minacce sempre più livide e rabbiose di Trump non seguono repliche convincenti ma solo raffiche di tweet in cui il Presidente insulta il suo rivale. “Vi daremo qualcosa”, ha promesso Trump in una conferenza stampa riferendosi alle registrazioni. Ad oggi, però, da parte della Casa Bianca, non è giunta alcuna documentazione.