In questo stesso giorno, quarantacinque anni fa, una guardia di sicurezza dell’Hotel Watergate a Washington notò un pezzo di nastro adesivo su una porta d’ingresso di servizio, che di fatto la manteneva aperta. Da quel lembo di scotch è partito lo scandalo che è costata la Presidenza a Richard Nixon. Mentre il 17 giugno di due anni fa, Donald Trump scendeva le scale mobili della Trump Tower assieme ai suoi familiari per annunciare l’intenzione di candidarsi alla Presidenza degli Stati Uniti. Due anniversari importanti la cui coincidenza, alla luce delle vicende degli ultimi giorni, appare ancora più curiosa. Nixon alla fine si dimise quando venne ufficialmente indagato per ostruzione alla giustizia, la stessa accusa che ora incombe su Trump. Ma il Presidente attuale non è intenzionato a fare passi indietro, anzi affila i coltelli e si prepara alla battaglia. Ieri ha riconosciuto lui stesso di essere sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti e ha puntato il dito, via Twitter, contro Rod Rosenstein, il neo Viceministro della giustizia da lui nominato a cui fa riferimento l’indagine sul Russia Gate, dopo che il Ministro Jeff Sessions ha deciso di fare un passo indietro per evitare conflitti di interesse. D’altronde, Rosenstein è, sì, la persona che ha suggerito alla Casa Bianca di licenziare l’ormai ex direttore dell’FBI James Comey per la gestione della questione delle e-mail di Hillary Clinton ma è anche colui che, dopo il licenziamento di Comey, ha deciso di affidare la guida dell’inchiesta del Bureau sull’ingerenza della Russia nella campagna elettorale presidenziale a un procuratore speciale scegliendo Robert Mueller, l’uomo che in poche settimane ha portato le indagini a un altro livello fino a entrare a tutti gli effetti nello Studio Ovale, cosa che sta infastidendo non poco Trump. Anche perché il Russia Gate sta di fatto focalizzando l’attenzione mediatica negli Stati Uniti, nonostante il Presidente provi a portare avanti nel frattempo anche un programma di governo ricalcato sulle promesse della campagna elettorale, come dimostra ad esempio l’annuncio di ieri fatto da Miami con cui Trump ha ribaltato la politica di apertura nei confronti di Cuba dell’Amministrazione Obama. Di fronte a una platea di esuli cubani ha assicurato che saranno rafforzate e mantenute le sanzioni contro L’Avana così come le restrizioni su visti e commercio, almeno finché Cuba non garantirà il rispetto dei diritti umani, la liberazione dei prigionieri politici e libere elezioni.