Sono servite settimane per il bando al petrolio russo promesso dalla Commissione europea il 9 maggio, anche questa volta l'Ungheria si è opposta finché non sono state accolte le sue condizioni. A Viktor Orban non è bastata la moratoria fino al 2024, garantita pure a Slovacchia e Cechia, preoccupato per la sicurezza energetica del Paese che dipende quasi totalmente dalle importazioni da Mosca, ha ottenuto in pratica un'esenzione dalle sanzioni. Dopo il 2014 il suo Governo ha firmato accordi con la Russia per miliardi di euro, dalle centrali nucleari agli sconti sul greggio e a dicembre il suo Ministro degli Esteri ha ricevuto un'alta onorificenza del Cremlino. Non è la prima volta che l'Ungheria blocca l'UE, vincolata all'unanimità, aveva frenato sul Recovery Fund e fuori dai tavoli comunitari sull'adesione di Finlandia e Svezia alla Nato, come la Turchia di Erdogan, formalmente un Paese candidato, ma sempre più lontana da Bruxelles. La Serbia ha lo stesso status il presidente Vucic ha però chiuso un accordo con Putin per una fornitura triennale di gas, le bollette dei serbi, il prossimo inverno, costeranno fino a 12 volte meno di quelle europee, pur senza opporsi hanno chiesto garanzie: Grecia, Cipro e Malta che hanno le più grandi flotte navali tra gli Stati membri. Nicosia, meta prediletta degli oligarchi e poco restia a concedere loro passaporti teme gli effetti delle sanzioni sul turismo. L'Ucraina di Zelensky, che paga le conseguenze dello stallo, ha ben altre preoccupazioni.























