Sono passati sette giorni da quando la Sea Watch ha soccorso 53 persone a rischio naufragio, su un gommone semi sgonfio e sovraffollato a 47 miglia dalla Libia, in acque internazionali. Autorizzati a sbarcare solo in 10, donne incinte, neonati e feriti, da domenica si trovano a Lampedusa, dove stanno ricevendo le cure necessarie. La nave umanitaria tedesca, con gli altri 43, tra cui tre minori soli e uno appena 12 anni, resta invece in mare, al limite delle acque territoriali che non può varcare, pena una multa fino a 50.000 euro e la confisca dell'imbarcazione. Come previsto dal Decreto sicurezza bis notificato all'equipaggio dalla Guardia di Finanza nei giorni scorsi. Contro il provvedimento i legali della ONG annunciano ricorso, mentre il Tar del Lazio respinge la richiesta preliminare di sospensione delle misure, avanzata nei giorni scorsi. "Quello che contestiamo", spiegano i legali della Sea Watch, "è che il divieto si basa sull'assunto che la nave faccia entrare persone in Italia clandestinamente, mentre il diritto prevede che ai profughi soccorsi debba essere concessa la possibilità di essere identificati e di chiedere protezione". Sul caso ora indaga la Procura di Agrigento che ha aperto un fascicolo in cui si ipotizza il reato di favoreggiamento dell'immigrazione e interviene il Consiglio d'Europa con il Commissario per i diritti umani che chiede sia indicato tempestivamente un porto sicuro, che non può essere la Libia ed esprime preoccupazione per l'atteggiamento del governo italiano nei confronti delle ONG e per le conseguenze che il provvedimento può avere sulle persone che chiedono aiuto in mare. Intanto dalla nave, che espone gli striscioni "Aprite i porti, aprite i cuori" migranti e profughi rinnovano gli appelli alle autorità italiane ed europee, perché si sblocchi la situazione e si permetta l'attracco. Gli operatori della Sea Watch raccontano le violenze subite durante la prigionia nelle carceri libiche, il regime di schiavitù a cui sono sottoposti uomini donne e bambini con la pelle più scura venduti da un gruppo all'altro. E poi i continui ricatti, le torture, le minacce da parte dei trafficanti che da quelle regioni liberano e lasciano andare solo chi paga. Ora che per loro quell'incubo è finito dicono "Sogniamo solo la libertà che però è ancora lontana".