Si surriscalda il clima in Serbia in occasione della grande manifestazione di protesta a Novi Sad, dove gli studenti sono arrivati anche a piedi da Belgrado con l'intento di bloccare il ponte della città. In decine di migliaia hanno riempito le strade della città. La rabbia antigovernativa che dilaga da tre mesi nel paese balcanico, candidato da 11 anni all'ingresso nell'Unione Europea, non accenna a scemare. La scintilla che ha fatto esplodere il malcontento già presente nel Paese nei confronti di un Governo accusato di essere autoritario, corrotto e violento, è stato il crollo di una pensilina alla stazione ferroviaria di Novi Sad. Quindici morti. Questo dramma ha innescato il più grande movimento di protesta dai tempi della caduta del regime di Slobodan Milosevic. 25 anni dopo, secondo alcuni analisti, ora rischia di sbriciolarsi anche il potere attuale di fronte alle manifestazioni che si susseguono senza tregua. Il partito progressista serbo che guida il Paese e il suo leader, il presidente Vucic, ne sono consapevoli. Gli appelli al dialogo e alla moderazione sono insistenti, sia da parte del Premier dimissionario Vucevic, che sperava di placare gli animi facendo un passo indietro, che della presidente del Parlamento Brnabic e del sindaco, anch'egli dimissionario, di Novi Sad. Si temono possibili provocazioni e scontri di piazza. Lo stesso Vucic ha messo le mani avanti. "La Serbia non è un giocattolo", ha detto, "Al governo si va con le libere elezioni, non con la violenza e la forza." Il Presidente ha evocato lo spettro di non meglio precisate forze esterne che intendono mettere la Serbia sotto ricatto. Un copione già ricalcato da altri governi quando cercano disperatamente di difendere se stessi. Prima che i manifestanti arrivassero in città, le autorità hanno chiuso tutti i ponti. .























