Persa, riconquistata, ancora persa e di nuovo riconquistata. Cosa resti di Palmyra, la città siriana patrimonio dell’umanità, al momento è difficile da comprendere, anche perché il sito archeologico sembra sia l’unica parte dell’antica città nella quale l’esercito lealista sia riuscita ad entrare, cacciando miliziani dell’Isis, miliziani che qui erano tornati con un blitz utile soprattutto alla propaganda del Califfato. Le truppe del regime di Damasco ora si preparano all’assalto anche dell’area ancora sotto il controllo jihadista, mentre gli alleati iraniani parlano di una settimana per riprendere il pieno possesso della città. Intanto arriva il drammatico bilancio mensile delle vittime del conflitto, dati forniti dall’Osservatorio siriano per i diritti umani che sembrano passare di nuovo nel silenzio di cancellerie mai realmente attive nella ricerca di una soluzione duratura: 2850 le persone che hanno perso la vita nel Paese nel solo mese di febbraio, tra questi circa 770 sono civili, 180 i bambini. Il bilancio, ancora una volta, è estremamente drammatico, mentre si annunciano settimane intense per una diplomazia finora deludente. A Ginevra proseguono i colloqui sotto l’egida delle Nazioni Unite, mentre il 14 e il 15 marzo si terrà ad Astana, la capitale del Kazakistan, il terzo round di colloqui tra il regime e l’opposizione armata; colloqui questi promossi da Russia, Iran e Turchia, il tutto sullo sfondo di quanto si consuma sul campo, con continue denunce di atrocità imputate soprattutto al regime di Bashar al-Assad, che ha attaccato i civili con il cloro anche durante la battaglia di Aleppo, la seconda città siriana caduta a dicembre nelle mani dei governativi dopo un lungo assedio. Armi chimiche, il cui uso, però, per il veto di Russia e Cina, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non è riuscito neanche a condannare.