Era atteso da tempo, da 26 anni, il verdetto del tribunale dell'Aia a carico di Ratko Mladic. L'ex capo militare serbo-bosniaco, 78 anni, già condannato in primo grado all'ergastolo nel 2017, è colpevole di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità per la strage di Srebrenica nel 1995, quando furono uccisi 8.000 uomini e ragazzi musulmani bosniaci in uno dei più brutali massacri in Europa dai tempi della Seconda guerra mondiale. Sotto la sua guida sono stati inoltre condotti 43 mesi di assedio di Sarajevo. La codanna all'ergastolo è confermata in appello e la sentenza è definitiva, senza possibilità di ricorsi. L'accusa, assieme a un'emozionata opinione pubblica in Bosnia-Erzegovina, puntava a condannare Mladic per genocidio non soltanto per i fatti di Srebrenica, ma anche per altri atti di atroce violenza nel 1992. Per la difesa, che ha sempre negato l'accusa di genocidio, il capo militare non avrebbe ordinato le stragi che gli sono valse l'appellativo di "macellaio" di Bosnia. Hanno viaggiato da diverse parti dei Balcani e dell'Europa le famiglie, le vedove e le madri di alcune delle vittime di Srebrenica per essere davanti al tribunale al momento del verdetto. Per i bosniaci, la sentenza, anche se per molti non completa, ha una profonda valenza simbolica: chiude l'era dei processi delle Nazioni Unite contro i crimini commessi in un conflitto che ha ucciso oltre 100.000 persone nel cuore dell'Europa. Eppure ad oggi, tra i leader, soltanto l'ex capo politico Radovan Karadziç è stato condannato per gli stessi crimini di Mladic, e sta scontando l'ergastolo. Era imputato di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità anche il leader del nazionalismo serbo, Slobodan Milosevic, quando nel 2006 morì in carcere, dopo quattro anni di processo, prima che si potesse arrivare a una sentenza.