"Non sono un assassino". Questo Salah Abdeslam l'ha ribadito fino alla fine, nell'ultima dichiarazione che ha concluso il maxiprocesso cominciato lo scorso settembre per gli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi. Il più lungo della storia francese dal dopoguerra, ci sono volute 148 udienze nell'Aula bunker del Palazzo di giustizia parigino per sentire tutte le 2500 parti civili coinvolte e i 14 imputati, altri 6 imputati sono processati non in presenza, presunti deceduti. Abdeslam ha parlato più volte in quanto unico sopravvissuto del gruppo di terroristi che quella notte uccise 130 persone delle quali 90 al Bataclan, tra loro c'era anche l'italiana Valeria Solesin, Abdeslam che dopo gli attentati era riuscito a fuggire e a nascondersi in Belgio fino a marzo 2016, ha cambiato atteggiamento nel corso dei mesi, la prima volta prese parola per ribadire la propria fede allo Stato islamico solo all'ultimo ha chiesto scusa alle vittime ma la sua posizione è rimasta la stessa, ammette di aver commesso degli errori ma sostiene di aver cambiato idea in corso d'opera la notte della strage e di aver scelto di non far esplodere la propria cintura esplosiva, in questo senso dice non ho ucciso nessuno perché anche se sembra evidente la sua responsabilità come mente dell'operazione non ha portato a termine la missione kamikaze, la sua cintura però è stata trovata difettosa resta perciò il dubbio che abbia provato ad azionarla e non abbia funzionato. La Procura ha chiesto per lui l'ergastolo senza possibilità di ricorso, la pena più pesante prevista dall'ordinamento penale francese, imposta solo quattro volte nel Paese, una richiesta motivata in questo caso hanno spiegato i procuratori che non credono possibile un reintegro di Abdeslam nella società a causa della sua ideologia di morte, parola alla Corte adesso.























