Solo parole vuote. L'annuncio del cessate il fuoco, diramato via social dal capo delle forze paramilitari, che da sabato scorso si stanno scontrando con l'esercito in Sudan, è rimasto tale. E così mentre le parti continuano a scontrarsi i civili restano in trappola. Le accuse di violazione della tregua arrivano dai paramilitari delle forze di supporto rapido, che denunciano attacchi non solo a Khartoum ma anche in altre zone del paese. Accuse rispedite al mittente dall'esercito sudanese che ha parlato di bombardamenti vicino al palazzo presidenziale. Nessun accenno alla tregua, che al quinto giorno di scontri, avrebbe potuto mitigare le sofferenze della popolazione, ormai stremata dalle violenze, dai saccheggi, dai tagli di elettricità e acqua. L'OMS parla di una situazione allarmante. Una quarantina gli ospedali che hanno già smesso di funzionare, alcuni colpiti dai bombardamenti, altri dopo essere stati evacuati forzatamente, ma molti altri rischiano di chiudere per mancanza di personale medico, di energia e medicinali. Il New York Times parla di un funzionario belga rimasto ferito a Khartoum, mentre nelle ultime ore i paramilitari vicini alla Brigata russa Wagner avrebbero fatto irruzione nelle abitazioni di dipendenti dell'ONU nella capitale. Attacchi che fanno seguito alle devastazioni della residenza dell'ambasciatore del Kuwait e all'aggressione a quello dell'Unione Europea. Gli scontri tra esercito e paramilitari si sono estesi allo stato occidentale del Darfur, teatro della guerra civile degli anni 2000. Un tempo alleati nei due colpi di stato che spodestarono il dittatore Al-Bashir, i due generali, il capo dell'esercito regolare Al-Burhan e l'erede dei guerriglieri Janjawid Dagalo sono entrati in conflitto sui tempi e modi dell'assorbimento delle forze paramilitari nell'esercito regolare. Un conflitto di cui non si riesce a intravedere la fine.