“Non siamo cinesi, siamo di Hong Kong”. Pare che la scintilla che ha provocato i duri scontri ieri sera, al termine dell'imponente manifestazione contro la nuova legge sull'estradizione che ha visto oltre 1 milione di persone bloccare per l'intera giornata il centro di Hong Kong come ai tempi della “Rivoluzione degli ombrelli” del 2014, sia stato un enorme striscione con questa scritta e gli slogan sempre più anticinesi urlati dalla folla. A questo punto - scrivono i giornali locali che per la maggior parte simpatizzano con i manifestanti - è stato il capo dell'esecutivo in persona, la signora Carrie Lam, a dare l'ordine alla polizia di caricare. Per fortuna non ci sono notizie di vittime o feriti gravi, ma la tensione ora è altissima a Hong Kong. Il comitato organizzatore della protesta, che comprende alcuni leader della “Rivoluzione degli ombrelli” di recente condannati per i fatti dell'epoca, ha annunciato una nuova mobilitazione generale per dopodomani, 12 giugno, data prevista per la discussione all'assemblea legislativa della nuova legge. Una legge che la signora Carrie Lam, appoggiata da Pechino, continua a difendere, ma si dichiara disposta a negoziarne alcuni emendamenti, soprattutto quello che prevede una valutazione nel merito delle richieste di estradizione. Attualmente Hong Kong ha trattati di estradizione con una ventina di Paesi occidentali, ma non con la Cina. Questo ha permesso sinora a molti dissidenti politici cinesi di risiedere a Hong Kong senza il timore di essere arrestati ed estradati. Dura la reazione dei media cinesi: “la nuova legge è un atto scontato di cui non dovrebbe esserci nemmeno bisogno” - scrive, ad esempio, il Global Times - “visto che Hong Kong è parte integrante della Cina. Ma ancora una volta” - conclude l'editoriale del quotidiano cinese - “l'Occidente cerca di sobillare la protesta per danneggiare il nostro Paese”.