Questo è quello che rimane di Gaziantep, epicentro del sisma che ha colpito il sud-est della Turchia e il nord della Siria. Neppure l'antica fortezza, patrimonio dell'UNESCO, è rimasta in piedi. Siamo a pochi chilometri da Aleppo, città siriana che continua a pagare il conto salato della guerra civile iniziata nel 2011. E da Kobanê, simbolo della resistenza di fronte all'avanzata dello Stato Islamico e cuore del Rojava, il governo autonomo curdo. Un triangolo che è una sovrapposizione di tensioni geopolitiche, difficoltà economiche e sfide per la sicurezza. Proprio a Gaziantep nel corso degli anni le forze turche hanno compiuto diverse operazioni contro le cellule dell'ISIS. Una scelta che ha provocato la reazione del califfato, in particolare nell'agosto del 2016 quando un attacco kamikaze ha ucciso 56 persone. La stessa area devastata dal terremoto, per anni ha anche accolto i principali campi dei profughi siriani in fuga dalla guerra e che, una volta chiusi centri organizzati al confine, si sono trasferiti nelle città. E così Gaziantep ospita, dopo Istanbul, la più numerosa comunità siriana. Un'area strategica anche dal punto di vista economico, da qui infatti passa l'oleodotto che collega i ricchi giacimenti di Mosul e Kirkuk nel nord dell'Iraq e del Kurdistan iracheno con la Turchia e la cui fornitura è stata sospesa in via precauzionale e proprio a causa del sisma. Ma il dato più sensibile è quello geopolitico. Con le mire espansionistiche del Presidente turco Tayyip Erdogan che vorrebbe occupare proprio la zona di Kobanê, ufficialmente siriana. Per impedire il consolidamento politico e militare delle forze democratiche siriane e branca locale del PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan, considerato da Ankara un'organizzazione terroristica. Uno sviluppo che colpirebbe duramente la minoranza curda e più In generale aggraverebbe le già precarie condizioni di vita della popolazione civile.