Donald Trump varca la soglia del tribunale di New York scuro in volto. Il processo civile per aver gonfiato il valore delle sue proprietà immobiliari allo scopo di ottenere prestiti più vantaggiosi dalle banche, non avrà il peso politico degli altri quattro che si celebreranno il prossimo anno, proprio mentre farà campagna elettorale per la Casa Bianca. Ma colpisce il trumpismo dove fa più male, nell'orgoglio e nel portafoglio. Nell'orgoglio perché mina l'immagine di formidabile uomo d'affari che Trump ha sempre sbandierato, dipingendolo piuttosto come uno che si vanta di ricchezze che non ha. E nel portafoglio perché l'ex presidente è già stato giudicato colpevole di frode, questo processo, che andrà avanti un paio di mesi, dovrà solo stabilire l'entità della sanzione. La Procura Generale di Manhattan chiede una multa da 250 milioni, ma soprattutto Trump rischia che vengano ritirate le licenze della sua holding immobiliare, il cuore dell'impero. Nel primo giorno di processo la difesa ha provato a smontare le accuse, nessuna frode, le discrepanze sulle valutazioni degli immobili fanno parte della normale dinamica del settore e pazienza se i periti indipendenti dicono che il villone di Mar-a-Lago in Florida valga 18 milioni, mentre per il proprietario sarebbero 100 volte tanto. Le banche che hanno concesso i finanziamenti, hanno detto i legali, lo hanno fatto sulla base di loro valutazioni, non hanno mai perso soldi, sono anzi sempre state ripagate. Insomma non ci sono vittime. Trump chiamato come testimone, non era obbligato a intervenire, ma ha deciso di farlo ugualmente per trasformare anche questo processo in una tappa della sua campagna elettorale vestendo, ancora una volta, i panni del perseguitato politico. È tutta una farsa, ha detto livido, la procuratrice è democratica e corrotta e il giudice ha già deciso.