Servono confini robusti, non come in Europa. Non curante della bufera scatenata dal provvedimento che prevede la chiusura delle frontiere a sette Paesi a maggioranza musulmana e il respingimento dei rifugiati, ad eccezione di quelli cristiani, Trump torna a ribadire le ragioni che lo hanno spinto ad emanare il bando. “Il nostro Paese ha bisogno di confini robusti e severamente controllati, ora” scrive su Twitter. “Quello che accade in Europa e nel mondo è caos e confusione”. Intanto, il caos e la confusione regnano in molti scali del pianeta, a partire dal Medio Oriente, dove ai viaggiatori provenienti dai Paesi inseriti nella lista nera non viene permesso di imbarcarsi per gli Stati Uniti. In Iraq, per quest’uomo e la sua famiglia, immigrati regolari, è la fine di un sogno. “Ci siamo preparati per due anni. Abbiamo venduto tutto quello che avevamo. Pensavo l’America fosse una istituzione democratica, invece si sta comportando esattamente come faceva Saddam Hussein”. Negli aeroporti degli Stati Uniti arrivano migliaia di manifestanti a sostegno di quelle centinaia di persone munite di green card e regolare permesso. Professionisti da anni impiegati in America, famiglie con bambini, insegnanti, studenti che, di ritorno da un viaggio nel loro Paese d’origine, si sono visti vietare l’ingresso. “È una misura antiamericana e anticostituzionale” dice questa attivista “ed è il contrario di tutto quello per cui gli americani veri e sani si sono sempre battuti”. In aiuto dei passeggeri bloccati negli scali intervengono squadre di avvocati esperti di diritto dell’immigrazione, mentre contro la legittimità di una parte del decreto interviene un giudice federale di New York stabilendo che i rifugiati non possono essere espulsi. Trump, però, si appella alla legge che nel ’52, in nome della sicurezza nazionale, conferiva al Presidente poteri speciali per la chiusura delle frontiere a certe categorie. L’ordine esecutivo, firmato venerdì e ribattezzato “Protezione della Nazione dall’ingresso di terroristi stranieri”, prevede per quattro mesi lo stop all’ingresso di profughi dalla Siria, per tre mesi il blocco totale di tutti i viaggiatori in arrivo, oltre che dalla Siria, anche da Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan e Yemen. Nella lista nera non figurano i Paesi d’origine degli attentatori che hanno colpito l’America negli ultimi anni: Arabia Saudita, Emirati Arabi, Turchia, Egitto, Libano, Pakistan e Afghanistan. Paesi risparmiati dal divieto – fanno notare alcuni osservatori – perché con questi il multimilionario neopresidente intratterrebbe stretti rapporti d’affari.