Trump non lascia, anzi raddoppia. Alla Corte Federale di Washington, dove è accusato di aver tentato di sovvertire il risultato delle presidenziali del 2020 e avere incitato una insurrezione, minaccia spavaldo: "Se continuate a perseguirmi, sarà il caos." Non proprio i toni che ci si aspetterebbero da uno con a carico 91 capi di imputazione sparsi tra 4 processi che potrebbero costargli centinaia di milioni di dollari, svariati decenni di galera e pubblica ignominia stampata sui libri di storia. Ma tant'è, la strategia legale dell'ex Presidente degli Stati Uniti, prossimo ricandidato repubblicano, è capitalizzare sulla sua figura di martire che porta consensi stellari, almeno nei sondaggi. I suoi avvocati insistono su una presunta immunità assoluta di cui Trump godrebbe in quanto le sue azioni rientrerebbero nelle prerogative presidenziali di assicurarsi del corretto svolgimento delle elezioni. Addirittura sostengono che senza un voto del Senato, Trump non sarebbe perseguibile neanche se ordinasse l'omicidio di un suo avversario politico. Diversamente, argomentano, tutti i Presidenti potrebbero essere incriminati, anche Biden, perché tenta di impedire a Trump di tornare alla Casa Bianca. Teoria bislacca che la Corte, due giudici democratici e uno repubblicano, non sembra però orientata ad accogliere. L'immunità presidenziale, dicono tutti e tre i giudici, va bilanciata con i pubblici interessi e quelli di Trump a quanto pare non sembravano coincidere con quelli degli Stati Uniti.