La mappa delle alleanze nell’era Donald Trump muta repentinamente, sotto i colpi durissimi di un Presidente che non nasconde la sua insofferenza per il galateo diplomatico, preferendogli i modi duri del mondo degli affari. Lo sanno bene il Presidente messicano Peña Nieto e il Premier australiano Malcolm Turner. Al primo avrebbe minacciato di mandare l’esercito, se non fermerà i messicani che vogliono entrare illegalmente negli Stati Uniti; al secondo invece ha mostrato tutto il suo disappunto per un accordo siglato ai tempi di Obama, che impegna l’America ad accogliere circa 1.200 rifugiati dall’Australia. Un accordo che il Dipartimento di Stato ha suggerito di mantenere in nome della storica alleanza fra i due Paesi, ma che Trump ha definito stupido, dicendosi pronto a rimetterlo in discussione. Tremendo, invece, sempre secondo il Presidente, sarebbe un altro accordo, quello sul nucleare iraniano, soprattutto alla luce dei rapporti, di giorno in giorno più tesi, con Teheran; mentre cambiano relazioni ed equilibri con la Russia, a cui Trump tende già la mano, ammorbidendo le sanzioni, così da permettere ad alcune aziende strategiche statunitensi di tornare a fare affari con Mosca, in particolar modo con l’intelligence russa. Eppure, a sorpresa, fra questi nuovi e sconosciuti sentieri che sta imboccando la politica estera a stelle e strisce ai tempi di Trump, arriva la conferma che non ti aspetti. Ieri sera la Casa Bianca ha fatto sapere ad Israele che la costruzione di nuovi insediamenti o l’ampliamento di quelli esistenti rischia di non aiutare il raggiungimento della pace con i palestinesi. Un cambio di rotta rispetto all’aggressività mostrata inizialmente sulla questione della nuova amministrazione, che sembrava anche determinata a spostare l’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme. Un sostegno apparentemente incondizionato, e su cui ha fatto leva il Premier israeliano Netanyahu, annunciando appunto l’intenzione di costruire nuove case nei territori dei coloni. Questa frenata, dunque, in linea con la cautela sempre mostrata sulla questione della Presidenza Obama, seppure con toni più concilianti rispetto al passato, arriva inaspettata, guidata, secondo molti osservatori, anche dalla mano del genero di Trump, nonché suo consigliere alla Casa Bianca, Jared Kushner, marito di Ivanka, ebreo conservatore, che il neopresidente ha sempre considerato l’uomo a cui affidarsi per risolvere l’eterno conflitto fra israeliani e palestinesi.