Da New York a Washington, da Los Angeles a Chicago, da Portland fino all’altro lato dell’oceano, fino a Londra. Se negli Stati Uniti lo slogan scandito è “not my president” (non è il mio presidente), di fronte ai palazzi del potere britannici la folla, forte di quasi 2 milioni di firme, chiede con una mozione alla Camera dei Comuni che Donald Trump non sia proprio ricevuto nel Paese, quasi a volergli riservare lo stesso trattamento che il Tycoon americano desidera per quei migranti che vuole bandire dai confini americani. Uno sgarbo che la conservatrice Theresa May osteggia, anche perché è stata il primo premier mondiale a correre alla Casa Bianca dopo l’insediamento di Trump, tanto per ribadire che i rapporti tra i due Paesi nel “dopo Brexit”, della quale il successore di Barack Obama è fiero sostenitore, non possono che migliorare. Anche se lo speaker della Camera dei Comuni ha già fatto sapere che nessuna tribuna sarà concessa a Trump, a Westminster. Intanto, è in patria che il Tycoon continua ad essere pesantemente contestato e sono queste le proteste che lo toccano più da vicino. Anche nel giorno dei presidenti, che invece di essere celebrato, come da consuetudine, ha nuovamente portato in piazza decine di migliaia di persone in segno di protesta contro il nuovo corso politico della Casa Bianca. Non una marea umana, come in occasione della marcia delle donne all’indomani dell’insediamento del presidente, ma manifestazioni e cortei sono stati registrati da una parte all’altra del Paese.