Il Parlamento turco ha votato a favore di un emendamento sulla legge nazionale che regola internet. Le nuove misure sostenute e promosse dal partito del Presidente Erdogan obbligano le società proprietarie dei social media con oltre un milione di utenti al giorno, come Twitter, Facebook o YouTube, ad avere uffici e rappresentanti in Turchia. L'obiettivo sarebbe quello di poter rispondere alle richieste delle autorità locali entro le 48 ore, pena multe da migliaia di euro, sulla gestione dei contenuti. Tra le possibili sanzioni non soltanto quella pecuniaria, ma anche la riduzione dell'accesso alla rete fino al 90%. Un sostanziale oscuramento del servizio. Se la Presidenza turca spiega che si tratta di un emendamento che serve a stabilire legami commerciali con le piattaforme social, le associazioni per i diritti umani nazionali e internazionali parlano invece dell'aumento del potere di censura di un Governo che è già accusato di limitare la libertà di stampa ed espressione. È cresciuto infatti negli anni il numero degli oppositori politici finiti nei guai per aver criticato il Governo sui social. A preoccupare anche la richiesta delle autorità sull'archiviazione dei dati dei singoli utenti in Turchia, che solleva preoccupazioni per la privacy degli individui in un Paese in cui - è lo stesso Twitter a rivelarlo - da gennaio a luglio 2019 sono arrivate 6.073 richieste di rimozione di contenuti. Per fare un paragone, dall'Italia nello stesso periodo le richieste arrivate sono state sette. E nella classifica per Paesi di reporter senza frontiere sulle libertà di stampa, la Turchia è al 154° posto su 180 Paesi. Sono 93 i giornalisti in carcere, 52 quelli arrestati nei primi sei mesi del 2020.