il bersaglio principale della nuova pioggia di fuoco russa in Ucraina è Chernihiv, città settentrionale vicina al confine bielorusso. E proprio per la sua collocazione geografica, dopo essere stata occupata dai russi nel corso della prima invasione, una volta liberata era diventata una zona relativamente sicura. Ora i soccorsi sono a lavoro ma il bilancio del raid russo sulla città è comunque pesante. Tanto che Volodymyr Zelensky è tornato a lanciar un appello agli alleati occidentali per gli aiuti: necessari per contrastare l’avanzata russa, che ora ha più mezzi a disposizione dei soldati ucraini. Talmente stremati da anni di guerra da costringere il presidente ucraino a firmare per una nuova mobilitazione, per dare una maggiore rotazione ai militari impegnati sul fronte. Dopo aver criticato l’Occidente per aver dato prova della sua consistenza ed efficacia nel proteggere Israele dall’attacco iraniano, la conferma delle paure di Zelensky arriva dal prossimo vertice del G7 di Capri, in cui la questione ucraina verrà certamente oscurata dalla più recente crisi mediorientale. E dire che, invece, martedì sembrava essersi aperto uno spiraglio di speranze per una soluzione diplomatica. Il cancelliere Scholz, dopo aver incontrato il presidente cinese Xi-Jinping si era detto fiducioso su una prossima conferenza di pace per l’Ucraina, da tenersi in Svizzera. Il numero uno di Pechino si era infatti dimostrato disposto a ragionare sul tema, tanto da spingere Zelensky a dichiarare che solo Pechino può fare la differenza in questa situazione. A ridimensionare però l’apertura ci ha pensato subito il Ministero degli Esteri di Pechino che, in una conferenza stampa ha commentato semplicemente: c’è ancora molto lavoro da fare. Che se non è un no, non è neanche un sì, ma solo un forse che gela ogni speranza.