Volete o no che l’Unione europea decida quote di ripartizione di migranti tra i suoi Stati membri senza prima ascoltare Governi a sovranità nazionale? Suona più o meno così il quesito cui sono chiamati a dare risposta milioni di ungheresi. Il referendum contro le quote obbligatorie di redistribuzione dei rifugiati decise da Bruxelles è stato preceduto da una campagna di propaganda del Governo nazionalconservatore di Viktor Orban, che ha fatto di tutto per trasformarlo in un voto contro il multiculturalismo e la perdita della sovranità nazionale. Una campagna aggressiva, fatta di messaggi allarmistici, quasi sempre assolute menzogne. Secondo il piano europeo sulle quote, sono appena 1.294 i rifugiati che il Paese dovrebbe ospitare, e in una nazione di quasi dieci milioni di abitanti vuol dire uno ogni 8.000 persone. Una campagna che voleva suscitare allarme, e ci è riuscita, una manipolazione di massa per un evidente obiettivo politico, perché, se anche non si raggiungesse il quorum del 50 per cento, la vittoria del “no” sarebbe uno schiaffo all’Europa, un ulteriore colpo alla sua stabilità. Rafforzerebbe, invece, il potere di Orban, che spera di diventare il leader di quella che definisce una controrivoluzione, con i Paesi del blocco orientale contrari al ricollocamento che potrebbero decidere di seguire la strada da lui tracciata. L’uomo forte d’Ungheria va avanti, impermeabile alle critiche, piovute anche su una legge che stride, e non poco, con la retorica antiimmigrati e che garantisce per 300.000 euro un permesso di soggiorno illimitato. In due anni, circa 10.000 cittadini extracomunitari ne hanno approfittato. E intanto propone di deportare tutti gli irregolari arrivati in Europa, confinarli su un’isola, sorvegliati da uomini armati. Insomma, nell’Ungheria, populista e xenofoba, per poco più di mille profughi in fuga dalla guerra non c’è posto, per i ricchi, russi e cinesi, invece sì.