Donald c’era già passato e della sua statua nudo tutti avevano riso in città. Ora tocca a Hillary, con qualche resistenza in più, perché donna, perché democratica a New York, città libera per antonomasia. Ma i suoi creatori non battono ciglio, anzi sottolineano, c’è chiaramente un doppio standard a suo vantaggio. Proprio quello che loro, anonimi, se non nel rappresentante Zachary, vogliono denunciare, così come con la nudità della statua della Clinton – titolo evocativo “l’imperatrice non ha vergogna” – espongono tutti i dossier che della sua candidatura mettono in difficoltà democratici, repubblicani delusi da Trump e indipendenti. Dalle mail distrutte al sangue di Bengasi, passando per i rapporti troppo stretti con i finanziatori di Wall Street. Difficoltà reali, intanto, però, secondo gli analisti le sue probabilità di vittoria hanno superato il 90 per cento. Più che per merito suo, verrebbe da dire, per demerito dell’avversario, che all’ultimo dibattito l’aveva definita “odiosa”, scatenando il marketing delle magliette elettorali e gli slogan della campagna democratica. “Prendi questa, Donald! Le donne odiose sono toste. Le donne odiose sono sveglie. E le donne odiose votano! E l’8 novembre noi, donne odiose, con i nostri piedi odiosi, andremo ad esprimere i nostri voti, odiosi, e ti butteremo fuori dalle nostre vite per sempre”. L’attacco di Elizabeth Warren è una sfida. Al suo fianco Hillary, che nelle prossime ore sarà in Florida, dove ieri si è iniziato a votare. E in Florida è anche Donald Trump: uno Stato cui il repubblicano non può rinunciare. Da lì ripete il suo messaggio contro l’establishment e contro i sondaggi: “io – dice – non ci credo”. Per tutti è indietro, e almeno di 5 punti, a livello nazionale e in quasi tutti gli swing state, anche se quest’anno si assiste al paradosso: un Trump che combatte per Florida, Ohio e North Carolina, ma rischia di perdere, con le sue uscite sulle donne, due feudi repubblicani come Arizona e Utah.