“Prosciugare la palude”, sottinteso di Washington, è il nuovo slogan. La Gettysburg di Abraham Lincoln, il palcoscenico da qui lanciare il suo contratto con gli elettori. “Onestà, responsabilità e cambiamento per avere di nuovo – scandisce – un Governo del popolo, dal popolo, per il popolo, che rifarà grande l’America”. Cita lo stesso Lincoln, e ancora Ronald Reagan, Donald Trump e a diciassette giorni dalle elezioni sceglie un approccio di lotta e di governo. “Una cosa che sappiamo tutti è che non risolveremo mai i nostri problemi affidandoci agli stessi politici che hanno creato quei problemi sin dall’inizio. Hillary Clinton non si è candidata contro di me, si è candidata contro il cambiamento”. La provocazione dell’ultimo dibattito è ancora nell’aria e ora il tycoon sa che la base è con lui. Per il 70 per cento dei repubblicani una vittoria di Hillary sarebbe spinta da elezioni truccate. Il 45 per cento è pronto a contestare il risultato del voto; il Governo con le misure dei sui primi cento giorni dalle denunce dei trattati commerciali allo stop all’operazione AT&T and Time Warner. “Troppa concentrazione”, dice. “Parola d’ordine: posti di lavoro”. Vi lotta con la promessa “denuncerò le donne che hanno parlato di molestie” e la rottura dell’ultimo tabù avvenuta nella serata di venerdì, l’attacco a Michelle. “Vuole solo fare campagne e vedo quanto le piace Hillary. Ma non era stata lei a insinuare che se non sai prenderti cura di casa tua non puoi prenderti cura del Paese?” Ricorda il tycoon. “Persino io avevo pensato che fosse un’insinuazione troppo crudele”. Briciole di primarie 2008, negati dagli Obama nell’interpretazione che chiama in causa Bill, ma che oggi tornano utili. La partita è aperta in alcuni swing-State come Ohio o North Carolina, ma in Stati storicamente repubblicani come Utah e Arizona diventano terreno di battaglia.