Via da Kabul. Con amarezza. L'ultimo volo USA ha lasciato la capitale afghana alla mezzanotte di lunedì. I talebani, i nuovi padroni, salutano il ritiro con una notte di festa, risuonano gli spari, i clacson, il buio è illuminato da fuochi d'artificio e colpi di arma da fuoco. Poi i talebani prendono possesso dello scalo, entrando simbolicamente all'aeroporto per celebrare il ritiro degli ultimi militari americani. Presente il portavoce Mujahid, che ha detto: questa vittoria appartiene a tutti noi, l'Emirato islamico è una nazione libera e sovrana. E ha aggiunto: vogliamo avere buoni rapporti con gli Stati Uniti e con il mondo intero. Apriremo a relazioni diplomatiche con tutti. Prima di andare via le truppe americane hanno demilitarizzato aerei, veicoli tattici corazzati e veicoli da ricognizione, messo fuori gioco anche il sistema antimissilistico. Si chiude così con amarezza un capitolo militare fatto di evidenti fallimenti e promesse non mantenute. Kabul è smarrita, tace e si nasconde trattenendo il respiro. Vent'anni spazzati via. Risuonano le parole di Mujahid che ha chiesto ai combattenti talebani di essere gentili con il popolo afghano che ha molto sofferto. Il cambiamento è in atto da giorni, non servono neanche ordini espliciti e pubblici. L'autocensura è già scattata. La musica tace, le donne non escono di casa, radio e tv hanno oscurato le soap opera turche e i programmi di intrattenimento, bandite le presentatrici e le canzoni pop. Un salto indietro doloroso e scioccante. Risuonano solo una cupa musica patriottica e i toni austeri dei proclami politici o religiosi. Le attività culturali sono consentite, dicono i talebani, purché non vadano contro la Sharia e la cultura islamica dell'Afghanistan. Cosi come, assicurano, le donne potranno lavorare ma solo quando saranno al sicuro. I nuovi governanti cercano di mostrare un volto conciliante senza le dure punizioni pubbliche e i divieti assoluti che hanno caratterizzato il loro periodo al potere prima del 2001. Ma nessuno si fida e chi ha un foglio di viaggio per l'estero spera di poter lasciare un Paese dove la situazione umanitaria è sempre più pesante.