A un primo sguardo potrebbe sembrare di trovarsi in qualunque strada di Mosca o San Pietroburgo, invece siamo a Belgrado di fronte al Parlamento della Repubblica di Serbia, legata alla grande madre Russia da storia, tradizione, cultura e interessi sia economici che politici. Nella capitale serba l'adunata, organizzata in concomitanza con la grande parata del 9 maggio di Mosca, viene archiviata senza troppi clamori. In fondo qui non è una novità. Ma al di là delle ricorrenze e dei richiami storici l'atmosfera che si respira in questi giorni in città risente inevitabilmente di due mesi e mezzo di conflitto in Ucraina, dove l'operazione speciale ordinata da Putin prosegue finora senza sosta. Putin il grande burattinaio dei Balcani, qualcuno lo definisce qui a Belgrado. La Serbia è appena uscita dall'appuntamento elettorale del 3 aprile che ha riconsegnato le chiavi della Presidenza al rieletto Alexander Vucic, amico personale del leader del Cremlino e leader del Partito Serbo del Progresso, che a dispetto del nome è invece di orientamento conservatore e occupa quella zona grigia tra revanscismo tipicamente nazionalista e voglia di riforme dall'accento vagamente europeista. Un presidente, insomma, Vucic, che cammina come un funambolo su una fune, con alle due estremità Mosca e Bruxelles. Il Governo di Belgrado ha ufficialmente condannato alle Nazioni Unite l'intervento russo in Ucraina ma sta di fatto mantenendo una posizione decisamente ambigua con Mosca, scegliendo di non allinearsi alle sanzioni economiche chieste a gran voce dall'Unione Europea. La stessa Unione per la quale la Serbia è in lista d'attesa da oltre un decennio. Belgrado dipende però quasi totalmente anche dalle fonti energetiche russe, in primis il gas. Un autentico rompicapo per la Repubblica balcanica, perennemente divisa già dai tempi della dissoluzione dell'ex Jugoslavia tra futuro e passato, tra progresso autenticamente democratico e autoritarismo interno. C'è poi la questione del Kosovo, vissuta da queste parti come una vera e propria ragion d'essere. Questi sono invece i segni di un'altra guerra, la guerra nella ex Jugoslavia che ha lasciato una ferita terribile a Belgrado. Quello che vedete è il Ministero della Difesa, colpito dal bombardamento della NATO il 24 marzo del 1999. Nessuno qui vuol sentir parlare di altre guerre.























