Se per candidarsi per il voto del 2018 bisognava presentare una cauzione da 8 milioni di lire libanesi, pari a circa 5.300 dollari, adesso la cauzione e di 1.100 dollari, pari a ben 30 milioni di lire libanesi. Basterebbe solo questo dato per capire cosa c'è in gioco nelle imminenti elezioni legislative in Libano, chiamato a rinnovare l'Assemblea Nazionale che poi nominerà il successore del presidente Michel Aoun. Gli elettori arrivano alle urne stremati da una inflazione galoppante che ha ridotto più dell'80% della popolazione in povertà e che si sta unendo alla crisi alimentare inasprita dal conflitto in Ucraina, da due anni di pandemia, dalla drammatica esplosione nel porto di Beirut dell'agosto 2020, simbolo anche di una crisi politica costante che non è certo stata risolta dopo le proteste di piazza dell'autunno del 2019. Non è forse un caso che la parola più usata durante la campagna elettorale sia stata taghir, cambiamento, e per la prima volta secondo i sondaggi, sono più del 25% le persone intenzionate a votare per un candidato indipendente, alternativo ai partiti tradizionali, candidati indipendenti che non mancano ma sono divisi e frastagliati, in un sistema già molto complesso di suo. In nome della tradizione di nazione crocevia di popoli e culture, i seggi del parlamento vengono distribuiti fra i partiti non solo su base proporzionale ma confessionale, etnica, demografica e geografica. Le cariche principali vengono poi così ripartite. Il presidente è un cristiano maronita, il presidente del consiglio un sunnita, mentre quello del parlamento uno sciita, ma le varie comunità hanno una serie di problemi al loro interno. I sunniti hanno perso pochi mesi fa il loro punto di riferimento, il figlio dell'ex presidente Hariri, che s'è ritirato dalla vita politica. Gli sciiti guardano ad hezbollah che però, come è apparso anche dall'ultimo comizio del leader Nasrallah, sono più concentrati sulla necessità di continuare a difendersi da Israele e dalla corsa agli armamenti che dalle reali difficoltà economiche che stanno mettendo in ginocchio il paese. I partiti cristiani sono stati incapaci di rinnovare le loro liste elettorali e di ascoltare appunto quella volontà di cambiamento chiesto a gran voce dai giovani in piazza nel 2019, quegli stessi giovani che ora piegati dalla crisi stanno abbandonando non solo le speranze ma anche il loro paese, dando vita ad una delle più importanti ondate emigratorie della storia del Libano.























