Li chiamavano, hollywoodianamente, i 10 dell’impeachment: erano quei deputati repubblicani che votarono per mettere in stato di accusa l’allora Presidente Trump dopo l’attacco al Campidoglio. A poco più di 80 giorni dalle elezioni di medio termine che rinnovano tutti i seggi della Camera e un terzo del Senato, di quei dieci ne restano solo due. Quattro non si sono ripresentati per il rinnovo a causa del clima ostile dentro il partito; tre hanno perso le primarie contro candidati Turbo-trumpiani; una sta per fare la stessa fine. Liz Cheney, figlia dell’ex vicepresidente di Bush, Dick, è la bestia nera di Trump: era numero 3 del partito quando insorse contro il Capo della Casa Bianca accusandolo di avere attentato alla democrazia americana; fu demansionata e da allora -dallo scranno della Commissione d’inchiesta sul 6 gennaio- è diventata la più acerrima nemica dell’ex Presidente, che gliel’ha giurata. Corre per il quarto mandato nel feudo di famiglia del Wyoming, ma nonostante la popolarità non ha uno straccio di possibilità: i mezzi di Trump fanno della sua rivale Hageman la favorita per il seggio dello Stato con oltre 20 punti di vantaggio. Stesso discorso per l’Alaska, altro Stato al voto, dove rispunta Sarah Palin, ex candidata alla vicepresidenza con lo scomparso senatore McCain, oggi ultratrumpiana. Ci vorranno un paio di settimane per i risultati definitivi, ma se le rilevazioni danno la lotta per il controllo del Congresso sorprendentemente vicina rispetto a un mese fa quando i repubblicani sembravano poterlo conquistare in scioltezza, una cosa è certa: il Partito Conservatore rappresentato nel prossimo Campidoglio sarà trumpiano al 100%. La campagna elettorale, che sottintende quella per il bersaglio grosso, le presidenziali 2024, è fideistica: o con Trump, o contro Trump. All’interno dei repubblicani, i secondi non hanno scampo. Significa che il futuro del Grande Vecchio Partito saprà molto di passato, e che il fondamentalismo politico manderà definitivamente in soffitta ogni tentativo di riconciliazione bipartisan. Il peccato originale è il mancato riconoscimento dell’ex Presidente del risultato elettorale del 2020. Da allora, in questi due primi anni di Amministrazione Biden, quasi nulla ha avuto l’appoggio di entrambi gli schieramenti. Visioni diametralmente opposte su diritti di voto, armi, aborto. Perfino sulle misure di stimolo all’economia in funzione anti-inflazionistica, che per i sondaggi resta la principale preoccupazione degli americani. Il tagliando all’operato del Presidente Biden arriva con un gradimento tra i più bassi di sempre, ma in ripresa. Mentre sul capo del miliardario newyorchese volteggia vorticosa la spada di Damocle della giustizia.























