"Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della Cosa Pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale". L'Italia Paese che amo, la scrivania set, la calza sulla telecamera. 30 anni fa l'avventura politica di Silvio Berlusconi irrompe sulla scena di un Paese che lo amerà e lo odierà insieme. Un giorno che è uno spartiacque, per cui nulla sarà più come prima, neanche la politica. 30 anni dopo c'è ancora Forza Italia, la sua creatura l'hanno chiamata generazioni di cronisti. Gli eredi, senza la famiglia, si ritrovano in un salone dell'Eur a ricordare e celebrare. Tocca a Tajani tenerne insieme spinta, valori e coerenza, in un partito che dopo la morte del padre fondatore ha nei sondaggi, quasi un'invenzione del Cavaliere, percentuali che non ne rendono facile la navigazione. Le prossime Europee saranno il primo vero banco di prova. I vertici azzurri ci guardano speranzosi, perché il concomitante periodo non roseo della Lega potrebbe portare in dote risultati migliori di quelli ipotizzati solo qualche mese fa. E poi ci sono le Regionali. Sempre dalla destra leghista era arrivata l’insidiosa richiesta di un sacrificio pari a quello fatto dalla Lega in Sardegna e la non ricandidatura del Governatore uscente in Basilicata. Ha tenuto il punto fermo Tajani e Bardi, Presidente con un alto indice di gradimento, è stato per ora blindato da Fratelli d’Italia. Il partito di quella Giorgia Meloni che oggi ricorda le “tante le battaglie affrontate insieme”, e rivolge un pensiero a “Silvio, il cui impegno e ricordo continua a ispirare il nostro percorso”. Lei “supponente, prepotente, arrogante e offensiva”, aveva scritto in un foglietto Berlusconi. Una Premier che da quella Forza Italia, partito ancorato al PPE e legato a bandiere di un centrodestra moderno, non può smarcarsi. "Avanti insieme nel tuo nome", scrive Matteo Salvini, che evocando proprio il berlusconiano amore per l'unità del centrodestra ha ceduto sulla partita sarda. Il 23 e il 24 febbraio, a congresso, di nuovo Tajani sarà indicato guida di un partito che vede a livello territoriale crescere minoranze, parola che ai tempi del Cavaliere non avrebbe avuto senso. Di quei tempi restano Gianni Letta, più o meno defilato a seconda delle letture, e Confalonieri a fare da tramite con la famiglia, necessaria forse nell'erede in campo, di certo nel sostegno economico, garantito in virtù dell'affetto per la creatura politica. Un messaggio che in molti hanno percepito non del tutto rassicurante.