Il curioso caso dei nomi delle inchieste simili, e dei giorni così vicini per le sentenze, non avvicina però troppo Renzi e Salvini, uno sugli altari di un'assoluzione appena arrivata per lui e gli altri dieci coinvolti nel processo Open fra cui Boschi, Lotti, Carrai, l'altro sulla brace dell'attesa di una decisione sulla quale si dice sereno ma dai potenziali risvolti impegnativi, per la vicenda Open Arms. Dunque, Renzi esce a testa alta dall'inchiesta sulla fondazione Open, nata per sostenere e finanziare le sue iniziative politiche quando era ancora segretario del Pd, la Leopolda in primis. Soprattutto accuse di finanziamento illecito ai partiti, giudicate ora inconsistenti dal Gup che ha chiuso così la vicenda. E il leader di Italia Viva ne ha per tutti: i giudici che per anni hanno perseguitato lui, i suoi colleghi e amici, le famiglie, per fini politici e non di giustizia, attacca. E Meloni, che ora non si scusa per l'aggressione mediatica cavalcata dai 5 stelle ma anche da Fratelli d'Italia. "È stato il tentativo di assassinare un progetto politico. Perché la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni non ha trovato un momento per fare un Tweet e scusarsi per quello che il suo partito ha fatto". Ancora una volta garantismo contro giustizialismo, è il tema di Renzi, che comunque in Senato votò a favore dell'autorizzazione a procedere contro Salvini per il caso Open Arms. E adesso, insieme ai tanti che criticano l'operazione giudiziaria e si felicitano per la sua assoluzione, come Calenda col suo abbraccio a tutti i coinvolti, c'è anche Salvini. Che, mentre continua a rivendicare la bontà del suo operato nella vicenda dei migranti sulla nave Open Arms, e riceve il sostegno di Tajani che si augura ci sia un giudice in Sicilia, e di Elon Musk, che definisce assurdo venga processato per aver difeso l'Italia, in attesa della sentenza avverte. "Mi sento un po' come nella canzone di Venditti Notte prima degli esami, eh! Sicuramente se mi assolvono domani vorrà dire che avranno riconosciuto che ho fatto semplicemente il mio dovere. In caso di condanna a un giorno, a un mese, a un anno, a sei anni ricorreremo in appello perché la riterrei una profonda ingiustizia e un danno, non a me ma il Paese".