C'è anche quello di Roberto D'Agostino tra i nomi degli spiati attraverso i software dell'azienda italiana israeliana Paragon. Il primo a renderlo noto via social, Matteo Renzi, che parla senza mezzi termini di Watergate italiano, se anche Dagospia è stata spiata e il governo continua a far finta di nulla, scrive il leader di Italia Viva, siamo in presenza di un fatto gravissimo. Nelle democrazie non si spiano i giornalisti. Il nome del fondatore di Dagospia è emerso perché le Procure di Roma e Napoli hanno disposto accertamenti tecnici sugli smartphone di D'Agostino e di altre sei persone ritenute parti lese nell'indagine sullo spionaggio. Una giornalista di ultradestra olandese, due giornalisti di Fanpage e tre attivisti di Mediterranean Saving Humans. Al momento le indagini proseguono contro ignoti per accesso abusivo al sistema informatico e installazione abusiva di apparecchiature per intercettazioni. Finora aveva indagato sulla vicenda solo il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, innescando non poche polemiche con i partiti di opposizione. Il Copasir, che nel frattempo ha riaperto l'inchiesta ha fatto sapere di essere pronto a desecretare le audizioni in Parlamento dei rappresentanti di Paragon. D'ora in avanti sarà comunque la Magistratura a indagare sull'accaduto. Dure le critiche dalle opposizioni, la presidente Meloni e il sottosegretario Mantovano non possono più tacere, avvertono dal Partito Democratico. Se i servizi segreti italiani continuano a sostenere la loro estraneità nell'intercettare i giornalisti, il governo deve dirci chi è stato. Secondo Nicola Fratoianni la vicenda mette seriamente in discussione la tenuta della nostra democrazia. .