È il 6 luglio quando Draghi riceve Conte a Palazzo Chigi. Il Premier ascolta, osserva, riceve dalle mani del suo predecessore un documento con le richieste del MoVimento 5 Stelle. Della serie: queste le nostre condizioni per continuare a dare ossigeno al Governo. Chiede discontinuità Conte e Draghi fiuta il pericolo ma esclude, in cuor suo, il deragliamento grillino. Crede nel senso di responsabilità di Conte e degli ultimi rimasti intorno al fuoco. L'ex Premier esce da Palazzo Chigi e a tempo di record consegna, con tono solenne, ai cronisti parole piuttosto chiare: «non abbiamo firmato nessuna cambiale in bianco e dato alcuna garanzia di restare al Governo». Draghi ci resta male. Ma come? Riflette. Sono stato schietto, non ho chiuso porte e lui mi ripaga così? Tra le mani gli restano le carte con le richieste dei 5 Stelle. Le legge, le passa al setaccio e il giorno dopo commenta: «ci sono molti punti di convergenza». Un messaggio chiaro, per chi vuole ascoltare. Intanto l'emorragia degli abbandoni in casa grillina aggiorna i numeri: Conte fa finta di niente. Letta, dal canto suo, ostenta sicurezza. È l'11 luglio e non esita a sentenziare: «il filo non si spezzerà». Ma ormai tra il PD e i 5 Stelle è gelo. Chi non le manda a dire è Berlusconi. Nello stesso giorno il Cavaliere sbotta: «Draghi dica basta ai ricatti dei 5 Stelle». Il 12 luglio ecco Grillo, il comico dice: «siamo a un bivio, è un momento difficile». Bene, adesso siamo informati. Salvini, sempre più low-profile, ha quasi timore a esternare la voglia di elezioni. Quella stessa che Giorgia Meloni accarezza e scalda, sentendone l'inebriante profumo. Passano due giorni. Nuova telefonata tra Conte e Draghi. Quest'ultimo ribadisce che senza il voto grillino sul decreto aiuti al Senato salirà Colle. Durante la conversazione il Premier ripete al suo predecessore quanto aveva detto pubblicamente il giorno prima, e cioè che il Governo non può andare avanti sotto il pressing degli ultimatum. Ma ormai Conte e gli altri, non tutti gli altri sia chiaro, hanno deciso. Il Governo è così agli sgoccioli. Dopo il voto in Aula Draghi sale al Quirinale per dire a Mattarella che le dimissioni sono un atto dovuto. Il Capo dello Stato le respinge. Si va -come ha detto Giorgetti- ai tempi supplementari. È il 14 luglio, anniversario dell'inizio della rivoluzione francese. Aveva ragione Longanesi: un'idea che non trova posto a sedere è capace di fare la rivoluzione.























