Del leggendario centro la politica italiana è puntualmente, periodicamente invaghita. In un passato ormai lontano lo ha letteralmente saturata. Le istituzioni e la macchina dello stato erano senza soluzione di continuità, democraticamente occupate dal centro per antonomasia, la Democrazia Cristiana, quasi un partito-stato. E anche il futuro della politica italiana è sempre pieno di centro. Anche in questi giorni, è tornato. Sembrano tutti convinti che quel 40% degli elettori che ormai da tempo non vota, non lo fa perché non ha un centro credibile a cui rivolgere il suo consenso. Non protestano contro il sistema dei partiti, sono depressi e ai margini, invece, perché elaborano un lutto. Quindi, basta risuscitare il centro e tutti andranno a votare. Con il centro in campo, assisteremo al miracolo, come nella "Notte" di Lucio Dalla: si muove la città, con le piazze e i giardini, la gente nei bar. E tutti che tornano alle urne. Per carità può essere. E se serve a riportare la partecipazione al voto a livelli significativi, è pure un bene per la democrazia. Ma c'è uno spazio ampio per dubitare. Il sistema Italia sembra piuttosto piegarsi, o ripiegarsi, verso un bipolarismo forse naturale, perché figlio di una legge proporzionale che sulla carta non lo favorisce. Tant'è che per facilitare questo movimento il governo ha pensato al premierato come l'ambiente ideale dove questa tendenza avrebbe la più ampia libertà di esprimersi. E la sinistra, soprattutto quella cosiddetta liberale e moderata, invece pensa alla figura, mitica, del federatore. Anche questo credibile, competente e indubbiamente di centro. Se è pure uomo del fare, udite udite, ancora meglio. Quindi Giuseppe Sala. Quindi Ernesto Maria Ruffini. Uomini che potrebbero colorare di un po' di bianco la sinistra, e contaminare di rosso il centro. Competenti. Sanno fare. Ma smuovere le coscienze di chi non vota e spingerli al seggio ci pare un altro mestiere. Più sexy.