Una rosa è una rosa e un ordine del giorno è un ordine del giorno. Se ne approvano continuamente, spesso a chiosare provvedimenti legislativi e dargli un significato ulteriore e magari un po' diverso rispetto alle norme approvate. Il Parlamento li vota per impegnare il Governo a un certo comportamento, a un certo orientamento dell'indirizzo politico, ad un'attenzione particolare su un certo tema. Sono allargamenti inascoltati anche perché il non ascolto non è sanzionabile e però sono qualcosa di più di una dichiarazione, di una frase detta in conferenza stampa, di una risposta in una intervista. Sono atti parlamentari, si propongono e si votano. Per questo l'ordine del giorno scritto dalla Lega, pur se limato e reso meno ruvido, che impegna il Governo a cambiare strategia sull'Ucraina ad avviare un percorso diplomatico per una rapida soluzione del conflitto è un indizio più importante di altri, che la compattezza ancora una volta mostrata nel votare il nuovo ok agli aiuti italiani a Kiev potrebbe non essere o non essere più granitica. La Premier lo aveva detto, settimane fa: le opinioni pubbliche possono stancarsi di una guerra a tempo indeterminato e indeterminabile, delle conseguenze economiche, dei soldi pubblici spesi e distratti da altri utilizzi. Meloni però esprimeva un timore per un fenomeno che a un certo punto poteva sviare da quella che senza dubbi lei ritiene la retta via. L'ordine del giorno leghista non esprime un timore ma fa propria quella possibile stanchezza, la scrive in un atto parlamentare, la vota, qualcuno ci vede l'antica stima e amicizia per la Russia di Putin che nonostante tutto torna a farsi viva, altri scorgono l'aspettativa che la corsa di Trump alle primarie finisca dritta alla Casa Bianca, e tutto sommato l'ordine del giorno anticipa e si accoda a un nuovo modello, a un nuovo equilibrio delle relazioni internazionali. Altri ancora possono vederci semplicemente il tentativo di dare voce in cambio di consenso, in un anno elettorale, al sentimento di stanchezza di cui si diceva prima.