Non siamo in guerra ma impiegheremo armi e mezzi e uomini in uno scenario di guerra. Non la guerra infinita in Medio Oriente ma il suo spin-off, una specie di guerra contigua, per procura, perché quel conflitto si allarghi ma non troppo e comunque resti, chissà, sotto controllo. Lavoreremo per difendere con le armi le navi italiane che transitano nel Mar Rosso e poi per il canale di Suez. Navi che sono territorio italiano. Lavoreremo per difendere l'economia da un'ulteriore impennata dei costi delle merci che non ci possiamo permettere, proprio ora, che l'inflazione tutta sempre da costi dava segni di qualche cedimento. Non possiamo accettare la minaccia degli huthi sul commercio internazionale, sull'import export italiano e gli huthi sono yemeniti e filo iraniani e questo basta per definire quello che succede in Mar Rosso oltre alla contiguità geografica, è uno spin-off di quello che succede a Gaza tra israeliani e palestinesi. È tutto giusto conforme al diritto internazionale. Tajani ha detto che non facciamo guerra a nessuno, Meloni che è una missione di difesa europea e che quindi non bisogna passare per un voto del Parlamento, che comunque sarà informato. L'Italia si prende la sua responsabilità, ci mette faccia, mezzi e uomini, insieme a Francia e Germania, il che ha pure un importante significato politico. Può indicare la ripresa di una leadership perduta tra le tensioni sul patto di stabilità, sul Mes e altro. Tutto giusto, tutto secondo il diritto internazionale. Eppure essere parte in battaglia dello spin-off della guerra contigua inevitabilmente inquieta e preoccupa.