Chissà se cinquant’anni sono tanti nella vita di una nazione, di uno stato, di una comunità. Tanti ne sono passati dalla strage neofascista di Piazza della Loggia. Era il 1974. Sergio Mattarella chiama l’Italia di allora: “la nostra giovane Repubblica”. Aveva meno di trent’anni la giovane Repubblica. Giovane. Cioè inesperta, ingenua, ma piena di vita e di forza. Seppe reagire ai nemici dello Stato e della democrazia. Mattarella dice che non furono stragi di Stato quelle di quegli anni. Furono stragi di traditori dello Stato. E Mattarella dice pure che nel quadro internazionale che viviamo c’è, e sopravvive, seppur in modalità molto diverse, il disegno di minare i valori di libertà e democrazia. Con mezzi nuovi, come le notizie false, o sempre uguali, cioè le bombe. O magari con la riproposta del mito della velocità delle decisioni, che solo i regimi autoritari, non democratici, permetterebbero. Su questo, le parole del Presidente sono precise: la risposta dello Stato democratico può apparire talvolta lenta. Ma è solida e affidabile, perché rispetta le regole dello stato di diritto. Chissà. Forse furono proprio l’inesperienza, l’ingenuità, la vita e la forza della gioventù a salvare, allora, la Repubblica. Allora ha senso la domanda iniziale. Se cinquant’anni sono tanti. Se la Repubblica non è più giovane. Se la democrazia non è più giovane. Per difendersi ci vorrebbe forse la fiducia, l’entusiasmo, l’energia di un Paese che vive la libertà da poco e ricorda bene, perché vicino nel tempo, il brutto della sua mancanza. E servirebbe pure l’esperienza della maturità, che consente di uscire dalle situazioni più complicate. E quella di oggi sembra essere una di queste.























