La grande riforma costituzionale è fallita, ma in extremis questa legislatura consegna una novità meno rumorosa, eppure rilevante e definitiva: la revisione del Regolamento del Senato. Frutto di un lavoro condiviso da maggioranza e opposizione, una serie di modifiche su diversi fronti per avere una democrazia rappresentativa più veloce, efficace e coerente. Innanzitutto una serie di robusti paletti ai cambi di casacca, contati a centinaia negli ultimi cinque anni. Dopo il voto di marzo, ogni Gruppo dovrà rappresentare un partito o un movimento che abbia presentato alle elezioni del Senato propri candidati con lo stesso contrassegno. Poi, non se ne potranno creare di nuovi, salvo fonderne di esistenti. Altro capitolo, la centralità delle Commissioni, con lavori resi più trasparenti. Di regola, ci sarà l’assegnazione dei disegni di legge in sede deliberante o redigente, salvo leggi costituzionali ed elettorali, decreti-legge e poche altre tipologie di leggi. Per due settimane al mese si lavorerà solo in Commissione, dove riferiranno sempre i ministri, lasciando all’aula le informative del Presidente del Consiglio. Nell’emiciclo di Palazzo Madama, infine, si andrà più svelti: gli interventi saranno dimezzati, da venti a dieci minuti a testa.