C'è un piano normativo-regolamentare e un piano politico, c'è un fronte europeo e uno interno, forse alla stessa maggioranza Sta di fatto che dopo la bocciatura della Corte dei Conti, la strada per l'avvio dei lavori del ponte sullo Stretto appare sempre più in salita. Alle ruvide reazioni a caldo arrivate dal centrodestra è seguito un evidente ammorbidimento dei toni, frutto con ogni probabilità di una riflessione interna nel vertice seguito a Palazzo Chigi, e magari una interlocuzione con il Colle, che sconsigliavano un braccio di ferro con i magistrati contabili. L'attesa resta per la pubblicazione delle motivazioni prevista a fine novembre, con cui è stato negato il cosiddetto visto di legittimità. Ora l'obiettivo è spostato in avanti, a febbraio, si spera. C'è un piano normativo, appunto, altrettanto se non più complesso. Il confronto tra Palazzo Chigi e i giudici rischia di essere lungo, due i nodi da sciogliere: il finanziamento, salito a 13 miliardi, e il mancato appalto. E c'è il pericolo che Bruxelles apra una procedura, perché la direttiva europea obbliga a indire una nuova gara qualora il costo dell'opera superi il 50%. Secondo l'AD della società Stretto di Messina Ciucci non servirà una nuova gara perché le norme sono state rispettate. La quasi totalità dell'aumento del prezzo, spiega, è in linea con l'aggiornamento dei prezzi di tutte le opere pubbliche, e quindi perfettamente legittime anche per l'Unione. Non così per l'ANAC, l'Autorità Nazionale Anticorruzione, che vede troppi errori e parla di mancanza di chiarezza sui costi. Si poteva fare una nuova gara, usando il vecchio progetto per aggiornarlo, in modo da averne uno esecutivo in grado di tenere conto dei progressi tecnici degli ultimi 10 anni.























