È un segnale per Bruxelles e un bisogno per l'Italia. Il recovery plan, il piano di investimenti dei contributi europei non può attendere la fine della crisi. La crisi non può e non deve metterlo a rischio. Ecco allora che, nel bel mezzo del suo momento più difficile, il premier Conte apre il giro di consultazioni con le associazioni di categoria e sindacati. Prima CGIL, CISL e UIL, poi il mondo dell'agricoltura, lunedì Confindustria e a seguire regioni ed enti locali. Perché il piano, spiega Conte, è oggettivamente migliorato, ma ci sono ancora margini per fare di meglio, mettendo insieme le istanze di tutti. Per il premier i 209 miliardi sono un punto di svolta per riaccendere le economie e per un salto di qualità dell'occupazione. Motivo per cui la discussione deve essere libera da speculazioni meramente politiche. Il piano sarà in Parlamento nel giro di tre settimane, e il timore è che possa diventare un altro Vietnam tra richieste ed imboscate dei partiti. Non sarà così, assicurano dal Governo, cercando di sedare anche le preoccupazioni europee. Nessuno, neppure l'opposizione trarrebbe un vantaggio nel far naufragare la barca dei contributi. Le prime valutazioni dal Mef indicano un impatto del recovery plan tale da produrre una crescita di tre punti percentuali al 2026, con il 70% delle risorse registrate alla voce investimenti. La conferma per Palazzo Chigi che un uso sapiente dei fondi potrà liberare il potenziale dell'economia italiana dopo questa fase di crisi.