L'epitaffio per un partito mai nato è arrivato via social e lo ha preannunciato Carlo Calenda, in cui addossa a Matteo Renzi tutta la colpa per questa fine prematura. "Hai provato a darci una fregatura e sei stato rispedito al mittente", accusa il leader di Azione. Per giorni fra i dirigenti dei due partiti la tensione ha raggiunto livelli di guardia e le riunioni, per definire il percorso per dare vita al partito unico, sono state appesantite da quello che sembravano già di conti tra i due leader, per interposta persona. Che ormai si fosse arrivati al capolinea lo si è capito quando è saltato l'incontro che doveva approvare gli ultimi due punti del documento, che avrebbe dovuto accompagnare il nuovo soggetto politico: la gestione dei soldi e lo stop alla Leopolda, la kermesse renziana a Firenze. "Mi è stato chiaro che il progetto non andava da nessuna parte quando Renzi ha fatto, non un passo di lato, ma cinque passi in avanti riprendendo Italia Viva. Per Italia Viva la responsabilità del divorzio è tutta del leader di Azione, "È stata una scelta unilaterale di Calenda ed è un clamoroso autogol, noi eravamo pronti a lavorare fino all'ultimo e lo stavamo facendo mentre Calenda se ne è uscito dicendo che il Partito Unico era morto. "Sullo scioglimento di Italia Viva e Azione è del tutto evidente che una volta nato il nuovo partito, i due partiti si sarebbero sciolti, quindi non ci sono argomenti ne tecnici ne politici a giustificare una scelta sbagliata, che mi auguro sia ripensata. Questa è l'opinione di Italia Viva". I renziani ricordano i passaggi delle ultime ore. "C'era accordo su tutto tranne che su due punti punti, la questione dei soldi, con la nostra proposta di dividere a metà tutte le spese e poi il punto della Leopolda che francamente è inaccettabile.