Se ai tavoli si lavora sul programma, sul palco sfilano i Ministri del Governo. Lo erano con Renzi quando era Premier, lo sono oggi, sperano di esserlo domani, se il PD vincerà le elezioni. Così, alla visione sul futuro si abbina anche il pragmatismo del momento e dei numeri. Li evoca apertamente Dario Franceschini: la sconfitta al referendum la considera figlia del populismo, ma questi sono i tempi con cui fare i conti. Il sistema è tripolare, per cui serve un campo largo, eventualmente anche con i moderati del centrodestra, per portare a casa un Governo. “I rischi di questo tempo ci impongono di lavorare per cucire, per unire. Dovremo farlo. Dovrà farlo anche Matteo nella prossima legislatura”. Orfini è cauto: l’alleanza con NCD era una necessità prima; domani si vedrà. E a Pisapia manda a dire che qui il centrosinistra c’è. La Boschi reclama lealtà e niente rancori, come fece Renzi dopo la sconfitta con Bersani. Poletti ribadisce il bisogno di riforme, mentre Padoan mette un punto sull’Europa, con cui si può trattare, ma da cui non si può prescindere. “Di questi tempi sono molto di moda scenari apocalittici sulla cosiddetta ‘Italexit’. Mi fanno rabbrividire. Li considero incapaci di dare soluzioni. Ma mi fanno rabbrividire perché chi fa queste proposte e addirittura teorizza l’adozione di referendum per esplorare queste proposte non ha nessuna idea dei danni economici, sociali e culturali”. Renzi si fa sentire via Facebook, emozionato per la discussione e la voglia di politica dei tanti arrivati a Torino. Nel ruolo di vice del leader debutta ufficialmente Maurizio Martina. “Ecco perché il nostro tema non sono le vecchie provenienze di ciascuno di noi, ma la nuova appartenenza comune. La nuova appartenenza comune. Diversi e uniti è possibile”. A fare la sintesi ora toccherà a Matteo Renzi. In platea ci sarà anche il Premier in carica. La sintonia con il Governo non è in discussione, ma è evidente che la nuova agenda di Gentiloni dovrà tenere conto anche di questo Lingotto.